Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Luogo magnifico destinato per le publiche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città di Cartagine.
 
 ENEA, SELENE, OSMIDA
 
 ENEA
 No principessa, amico,
 sdegno non è, non è timor che  move
 le frigie vele e mi trasporta altrove.
 So che m'ama Didone,
5purtroppo il so, né di sua fé pavento.
 L'adoro, e mi rammento
 quanto fece per me, non sono ingrato.
 Ma ch'io di nuovo esponga
 all'arbitrio dell'onde i giorni miei
10mi prescrive il destin, voglion gli dei.
 E son sì sventurato,
 che sembra colpa mia quella del fato.
 SELENE
 Se cerchi al lungo error riposo e nido
 te l'offre in questo lido
15la germana, il tuo merto e il nostro zelo.
 ENEA
 Riposo ancor non mi concede il cielo.
 SELENE
 Perché?
 OSMIDA
                  Con qual favella
 il lor voler ti palesaro i numi?
 ENEA
 Osmida, a questi lumi
20non porta il sonno mai suo dolce oblio,
 che il rigido sembiante
 del genitor non mi dipinga innante.
 «Figlio», ei dice e l'ascolto, «ingrato figlio,
 quest'è d'Italia il regno,
25che acquistar ti commise Apollo ed io?
 l'Asia infelice aspetta,
 che in un altro terreno
 opra del tuo valor Troia rinasca.
 Tu 'l promettesti. Io nel momento estremo
30del viver mio la tua promessa intesi,
 allor che ti piegasti
 a baciar questa destra e mel giurasti.
 E tu fratanto ingrato
 alla patria, a te stesso, al genitore
35qui nell'ozio ti perdi e nell'amore?
 Sorgi de' legni tuoi
 tronca il canape reo, sciogli le sarte».
 Mi guarda poi con torvo ciglio e parte.
 SELENE
 Gelo d'orror. (Dal fondo della scena comparisce Didone con numeroso seguito)
 OSMIDA
                            (Quasi felice io sono.
40Se parte Enea manca un rivale al trono).
 SELENE
 Se abbandoni il tuo bene
 morrà Didone (e non vivrà Selene).
 OSMIDA
 La reina s'appressa.
 ENEA
 (Che mai dirò!)
 SELENE
                                (Non posso
45scoprire il mio tormento).
 ENEA
 (Difenditi mio core ecco il cimento).
 
 SCENA II
 
 DIDONE con seguito e detti
 
 DIDONE
 Enea d'Asia splendore,
 di Citerea soave cura e mia,
 vedi come a momenti
50del tuo soggiorno altera
 la nascente Cartago alza la fronte.
 Frutto de' miei sudori
 son quegli archi, que' templi e quelle mura;
 ma de' sudori miei
55l'ornamento più grande Enea tu sei.
 Tu non mi guardi e taci? In questa guisa
 con un freddo silenzio Enea m'accoglie?
 Forse già dal tuo core
 di me l'immago ha cancellata amore?
 ENEA
60Didone alla mia mente,
 il giuro a tutti i dei, sempre è presente.
 Né tempo o lontananza
 potrà sparger d'oblio,
 questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
 DIDONE
65Che proteste! Io non chiedo
 giuramenti da te. Perch'io ti creda
 un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
 ENEA
 Se brami il tuo riposo
 pensa alla tua grandezza,
70a me più non pensar.
 DIDONE
                                          Che a te non pensi?
 Io che per te sol vivo, io che non godo
 i miei giorni felici
 se un momento mi lasci?
 ENEA
                                                Oh dio che dici.
 E qual tempo scegliesti! Ah troppo, troppo
75generosa tu sei per un ingrato.
 DIDONE
 Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa
 ti sarà la mia fiamma.
 ENEA
                                           Anzi giammai
 con maggior tenerezza io non t'amai.
 Ma...
 DIDONE
             Che?
 ENEA
                         La patria, il cielo...
 DIDONE
 
80   Parla.
 
 ENEA
 
                 Dovrei... Ma no...
 l'amor... oh dio, la fé...
 Ah che parlar non so.
 Spiegalo tu per me. (Ad Osmida e parte)
 
 SCENA III
 
 DIDONE, SELENE, OSMIDA
 
 DIDONE
 Parte così, così mi lascia Enea!
85Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?
 SELENE
 Ei pensa abbandonarti.
 Contrastano quel core,
 né so chi vincerà, gloria ed amore.
 DIDONE
 È gloria abbandonarmi?
 OSMIDA
90(Si deluda). Regina,
 il cor d'Enea non penetrò Selene.
 Ei disse, è ver, che il suo dover lo sprona
 a lasciar queste sponde
 ma col dover la gelosia nasconde.
 DIDONE
95Come!
 OSMIDA
                Fra pochi istanti
 dalla reggia de' Mori
 qui giunger dee l'ambasciador Arbace.
 DIDONE
 Che perciò?
 OSMIDA
                         Le tue nozze
 chiederà il re superbo, e teme Enea
100che tu ceda alla forza e a lui ti doni.
 Perciò così partendo
 fugge il dolor di rimirarti.
 DIDONE
                                                  Intendo.
 S'inganna Enea ma piace
 l'inganno all'alma mia.
105So che nel nostro core
 sempre la gelosia figlia è d'amore.
 SELENE
 Anch'io lo so.
 DIDONE
                           Ma non lo sai per prova.
 OSMIDA
 (Così contro un rival l'altro mi giova).
 DIDONE
 Vanne amata germana
110dal cor d'Enea sgombra i sospetti, e digli
 che a lui non mi torrà se non la morte.
 SELENE
 (A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)
 
    Dirò che fida sei,
 su la mia fé riposa.
115Sarò per te pietosa,
 (per me crudel sarò).
 
    Sapranno i labri miei
 scoprirgli il tuo desio.
 (Ma la mia pena, oh dio,
120come nasconderò?) (Parte)
 
 SCENA IV
 
 DIDONE e OSMIDA
 
 DIDONE
 Venga Arbace qual vuole,
 supplice o minaccioso, ei viene invano.
 In faccia a lui pria che tramonti il sole
 ad Enea mi vedrà porger la mano.
125Solo quel cor mi piace,
 sappialo Iarba.
 OSMIDA
                               Ecco s'appressa Arbace.
 
 SCENA V
 
 IARBA sotto nome d’Arbace ed ARASPE con numeroso seguito di mori e comparse che conducono tigri e leoni e portano altri doni per presentare alla regina, e detti
 
 Mentre Didone servita da Osmida va sul trono, fra loro non intesi dalla medesima dicono:
 
 ARASPE
 Vedi mio re...
 IARBA
                            T'accheta.
 Fin che dura l'inganno
 chiamami Arbace e non pensare al trono.
130Per ora io non son Iarba, e re non sono.
 Didone, il re de' Mori
 a te de' cenni suoi
 me suo fedele apportator destina.
 Io te l'offro qual vuoi,
135tuo sostegno in un punto e tua ruina.
 Queste che miri intanto
 spoglie, gemme, tesori, uomini e fere
 che l'Africa soggetta a lui produce,
 pegni di sua grandezza in don t'invia.
140Nel dono impara il donator qual sia.
 DIDONE
 Mentr'io n'accetto il dono
 larga mercede il tuo signor riceve:
 ma s'ei non è più saggio,
 quel ch'ora è don può divenire omaggio.
145(Come altero è costui!). Siedi e favella.
 ARASPE
 (Qual ti sembra o signor?) (Piano a Iarba)
 IARBA
                                                    (Superba e bella). (Come sopra e siede)
 Ti rammenta o Didone
 qual da Tiro venisti e qual ti trasse
 disperato consiglio a questo lido.
150Del tuo germano infido
 alle barbare voglie, al genio avaro
 ti fu l'Africa sol schermo e riparo.
 Fu questo, ove s'inalza
 la superba Cartago, ampio terreno
155dono del mio signor e fu...
 DIDONE
                                                  Col dono
 la vendita confondi...
 IARBA
 Lascia pria ch'io favelli e poi rispondi.
 DIDONE
 (Che ardir!) (Ad Osmida)
 OSMIDA
                           (Soffri). (A Didone)
 IARBA
                                             Cortese
 Iarba il mio re le nozze tue richiese.
160Tu ricusasti, ei ne soffrì l'oltraggio,
 perché giurasti allora
 che al cener di Sicheo fede serbavi.
 Or sa l'Africa tutta
 che dall'Asia distrutta Enea qui venne,
165sa che tu l'accogliesti e sa che l'ami.
 Né soffrirà che venga
 a contrastar gli amori
 un avvanzo di Troia al re de' Mori.
 DIDONE
 E gli amori e gli sdegni
170fian del pari infecondi.
 IARBA
 Lascia pria ch'io finisca e poi rispondi.
 Generoso il mio re di guerra invece
 t'offre pace se vuoi.
 E in ammenda del fallo
175brama gli affetti tuoi, chiede il tuo letto,
 vuol la testa d'Enea.
 DIDONE
                                       Dicesti?
 IARBA
                                                         Ho detto.
 DIDONE
 Dalla regia di Tiro
 io venni a queste arene
 libertade cercando e non catene.
180Prezzo de' miei tesori
 e non già del tuo re Cartago è dono.
 La mia destra, il mio core
 quando a Iarba negai
 d'esser fida allo sposo allor pensai.
185Or più quella non son...
 IARBA
                                             Se non sei quella...
 DIDONE
 Lascia pria ch'io risponda e poi favella.
 Or più quella non son; variano i saggi
 a seconda de' casi i lor pensieri.
 Enea piace al mio cor, giova al mio trono
190e mio sposo sarà.
 IARBA
                                  Ma la sua testa...
 DIDONE
 Non è facil trionfo; anzi potrebbe
 costar molti sudori
 quest'avvanzo di Troia al re de' Mori.
 IARBA
 Se il mio signore irriti
195verranno a farti guerra
 quanti Getuli e quanti
 Numidi e Garamanti Africa serra.
 DIDONE
 Pur che sia meco Enea non mi confondo;
 vengano a questi lidi
200Garamanti, Numidi, Africa, il mondo.
 IARBA
 Dunque dirò...
 DIDONE
                              Dirai
 che amoroso nol curo,
 che nol temo sdegnato.
 IARBA
 Pensa meglio Didone. (S’alza e scende dal trono)
 DIDONE
                                            Ho già pensato.
 
205   Son regina e sono amante
 e l'impero io sola voglio
 del mio soglio e del mio cor.
 
    Darmi legge invan pretende
 chi l'arbitrio a me contende
210della gloria e dell'amor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 IARBA, OSMIDA, e ARASPE
 
 IARBA
 Araspe alla vendetta.
 ARASPE
 Mi son scorta i tuoi passi.
 OSMIDA
                                                 Arbace, aspetta.
 IARBA
 (Da me che bramerà?)
 OSMIDA
                                             Posso a mia voglia
 libero favellar?
 IARBA
                               Parla.
 OSMIDA
                                            Se vuoi
215io m'offro a' sdegni tuoi compagno e guida.
 IARBA
 L'offerta accetto e se fedel sarai,
 tutto in mercé ciò che domandi avrai.
 OSMIDA
 Sia del tuo re Didone, a me si ceda
 di Cartago l'impero.
 IARBA
                                        Io tel prometto.
 OSMIDA
220Ma chi sa se consente
 il tuo signore alla richiesta audace.
 IARBA
 Promette il re quando promette Arbace.
 OSMIDA
 Dunque...
 IARBA
                      Ogn'atto innocente
 qui sospetto esser può; serba i consigli
225a più sicuro loco e più nascoso.
 Fidati, Osmida è re, se Iarba è sposo.
 OSMIDA
 
    Tu mi scorgi al gran disegno
 e al tuo sdegno, al tuo desio
 l'ardir mio ti scorgerà.
 
230   Così rende il fiumicello,
 mentre lento il prato ingombra,
 alimento all'arboscello
 e per l'ombra umor gli dà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 IARBA e ARASPE
 
 IARBA
 Quant'è stolto se crede
235ch'io gl'abbia a serbar fede.
 ARASPE
 Il promettesti a lui.
 IARBA
 Non merta fé chi non la serba altrui.
 Ma vanne amato Araspe,
 Vanne le mie vendette
240un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.
 ARASPE
 Vado e sarà fra poco
 del suo, del mio valore
 in aperta tenzone arbitro il fato.
 IARBA
 No, t'arresta. Io non voglio
245che al caso si commetta
 l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta.
 Improviso l'assali, usa la frode.
 ARASPE
 Da me frode Signor! Suddito io nacqui
 ma non già traditore.
250Ogni indugio è tormento al mio furore.
 IARBA
 A me non manca
 braccio del tuo più fido.
 ARASPE
                                              E come, o dei,
 la tua virtute...
 IARBA
                              Eh che virtù? Nel mondo
 o virtù non si trova
255o è sol virtù quel che diletta e giova.
 
    Tra lo splendor del trono
 belle le colpe sono,
 perde l'orror l'inganno,
 tutto si fa virtù.
 
260   Fuggir con frode il danno
 può dubitar se lice
 quell'anima infelice
 che nacque in servitù. (Parte con Araspe)
 
 SCENA VIII
 
 Cortile della regia.
 
 SELENE ed ENEA
 
 ENEA
 Già tel dissi, o Selene,
265male interpreta Osmida i sensi miei.
 Ah piacesse agli dei
 che Dido fosse infida o ch'io potessi
 figurarmela infida un sol momento.
 Ma saper che m'adora
270e doverla lasciar questo è il tormento.
 SELENE
 Sia qual vuoi la cagione
 che ti sforza a partir, per pochi istanti
 t'arresta almeno e di Nettuno al tempio
 vanne. La mia germana
275vuol colà favellarti.
 ENEA
 Sarà pena l'indugio.
 SELENE
                                        Odila e parti.
 ENEA
 Ed a colei che adoro
 darò l'ultimo addio?
 SELENE
                                        (Taccio e non moro).
 ENEA
 Piange Selene!
 SELENE
                              E come
280quando parli così non vuoi ch'io pianga?
 ENEA
 Lascia di sospirar. Sola Didone
 ha ragion di lagnarsi al partir mio.
 SELENE
 Abbiam l'istesso cor Didone ed io. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
 Tutta ho scorsa la regia,
285cercando Enea, né ancor m'incontro in lui.
 ARASPE
 Forse quindi partì.
 IARBA
                                      Fosse costui? (Vedendo Enea)
 Africano alle vesti ei non mi sembra.
 Stranier dimmi, chi sei? (Ad Enea)
 ARASPE
 (Quanto piace quel volto agl'occhi miei!) (Vedendo Selene)
 ENEA
290Troppo bella Selene...
 IARBA
                                          Olà non odi? (Ad Enea)
 ENEA
 Troppo ad altri pietosa... (A Selene)
 SELENE
 Che superbo parlar (Verso Iarba)
 ARASPE
                                       (Quanto è vezzosa!) (Verso Selene)
 IARBA
 O palesi il tuo nome o ch'io... (Ad Enea)
 ENEA
                                                        Qual dritto
 hai tu di domandarne? A te che giova?
 IARBA
295Ragione è il piacer mio.
 ENEA
                                              Fra noi non s'usa
 di rispondere a' stolti.
 IARBA
                                           A questo acciaro... (In atto di porre mano alla spada)
 SELENE
 Sugli occhi di Selene,
 nella reggia di Dido un tanto ardire?
 IARBA
 Di Iarba al messaggiero
300sì poco di rispetto?
 SELENE
                                      Il folle orgoglio
 la regina saprà.
 IARBA
                               Sappialo. Intanto
 mi vegga ad onta sua troncar quel capo
 e a quel d'Enea congiunto
 dell'offeso mio re portarlo a' piedi.
 ENEA
305Difficile sarà più che non credi.
 IARBA
 Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea
 che per glorie racconta
 tante perdite sue?
 ENEA
                                    Cedono assai
 in confronto di glorie
310alle perdite sue le tue vittorie.
 IARBA
 Ma tu chi sei che tanto
 meco per lui contrasti?
 ENEA
 Son un che non ti teme e ciò ti basti.
 
    Quando saprai chi sono
315sì fiero non sarai
 né parlerai così.
 
    Brama lasciar le sponde
 quel passaggiero ardente,
 fra l'onde poi si pente,
320se ad onta del nocchiero
 dal lido si partì. (Parte)
 
 SCENA X
 
 IARBA, SELENE ed ARASPE
 
 IARBA
 Non partirà se pria... (In atto di seguire Enea lo ferma)
 SELENE
                                         Da lui che brami?
 IARBA
 Il suo nome.
 SELENE
                          Il suo nome
 senza tanto furor da me saprai.
 IARBA
325A questa legge io resto.
 SELENE
 Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
 IARBA
 Ah m'involasti un colpo
 che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
 SELENE
 Ma perché tanto sdegno? In che t'offese?
 IARBA
330Gli affetti di Didone
 al mio signor contende,
 t'è noto e mi domandi in che m'offende?
 SELENE
 Arbace, a quel ch'io veggio
 nella scuola d'amor sei rozzo ancora.
335Un cor che s'innamora
 non sceglie a suo piacer l'oggetto amato.
 Onde nessuno offende
 quando in amor contende o allor che niega
 corrispondenza altrui. Non è bellezza,
340non è senno o valore
 che in noi risveglia amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s'adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
 la fiamma sua ma poche volte è vero. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 IARBA, ARASPE, poi OSMIDA
 
 IARBA
345Non è più tempo Araspe
 di celarmi così. Troppa finora
 sofferenza mi costa.
 ARASPE
                                       E che farai?
 IARBA
 I miei guerrier, che nella selva ascosi
 quindi non lungi al mio venir lasciai,
350chiamerò nella regia,
 distruggerò Cartago e l'empio core
 all'indegno rival trarrò.
 OSMIDA
                                             Signore.
 Già di Nettuno al tempio
 la regina s'invia. Sugl'occhi tuoi
355al superbo troiano,
 se tardi a riparar porge la mano.
 IARBA
 Tanto ardir?
 OSMIDA
                          Non è tempo
 d'inutili querele.
 IARBA
                                  E qual consiglio?
 OSMIDA
 Il più pronto è il migliore. Io ti precedo;
360ardisci. Ad ogni impresa
 io sarò tuo sostegno e tua difesa. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 IARBA e ARASPE
 
 ARASPE
 Dove corri o signore?
 IARBA
 Il rivale a svenar.
 ARASPE
                                   Come lo speri?
 Ancora i tuoi guerrieri
365il tuo voler non sanno.
 IARBA
 Dove forza non val giunga l'inganno.
 ARASPE
 E vuoi la tua vendetta
 colla taccia comprar di traditore!
 IARBA
 Araspe, il mio favore
370troppo ardito ti fe'. Più franco all'opre
 e men pronto ai consigli io ti vorrei.
 Chi son io ti rammenta e chi tu sei. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 ARASPE
 
 ARASPE
 Lo so, quel cor feroce
 straggi minaccia alla mia fede ancora;
375ma si serva al dovere e poi si mora.
 
    Infelice e sventurato
 potrà farmi ingiusto fato,
 ma infedele io non sarò.
 
    La mia fede e l'onor mio
380pur fra l'onde dell'oblio
 agli Elisi io porterò. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 Tempio di Nettuno.
 
 ENEA, ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Come! Da' labri tuoi
 Dido saprà che abbandonar la vuoi?
 Ah taci per pietà
385e risparmia al suo cor questo tormento.
 ENEA
 Il dirlo è crudeltà
 ma sarebbe il tacerlo un tradimento.
 OSMIDA
 Benché costante, io spero
 che al pianto suo tu cangerai pensiero.
 ENEA
390Può togliermi di vita
 ma non può il mio dolore
 far ch'io manchi alla patria e al genitore.
 OSMIDA
 Oh generosi detti!
 Vincere i propri affetti
395avanza ogn'altra gloria.
 ENEA
 Quanto costa però questa vittoria.
 
 SCENA XV
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
 Ecco il rival né seco (Nell’uscire piano ad Araspe)
 è alcun de' suoi seguaci.
 ARASPE
 Ah pensa che tu sei...
 IARBA
                                         Sieguimi e taci.
400Così gli oltraggi miei... (In atto di ferire Enea Araspe lo trattiene)
 ARASPE
                                             Fermati.
 IARBA
                                                                Indegno. (Gli cade il pugnale ed Araspe lo raccoglie)
 Al nemico in aiuto?
 ENEA
 Che tenti anima rea? (Ad Araspe in mano del qual vede il pugnale)
 OSMIDA
                                           (Tutto è perduto).
 
 SCENA XVI
 
 DIDONE con guardie e detti
 
 OSMIDA
 Siam traditi o regina.
 Se più tarda d'Arbace era l'aita,
405il valoroso Enea
 sotto colpo inumano oggi cadea.
 DIDONE
 Il traditor qual è? Dove dimora?
 OSMIDA
 Miralo, nella destra ha il ferro ancora.
 DIDONE
 Chi ti destò nel seno
410sì barbaro desio? (Ad Araspe)
 ARASPE
 Del mio signor la gloria e il dover mio.
 OSMIDA
 Come! L'istesso Arbace
 disapprova...
 ARASPE
                           Lo so ch'ei mi condanna,
 il suo sdegno pavento
415ma il mio non fu delitto e non mi pento.
 DIDONE
 E né meno hai rossore
 del sagrilego eccesso?
 ARASPE
 Tornerei mille volte a far l'istesso.
 DIDONE
 Ti preverrò. Ministri
420custodite costui. (Parte Araspe con guardie)
 ENEA
 Generoso nemico,
 in te tanta virtude io non credea.
 Lascia che a questo sen... (Va per abbracciar Iarba)
 IARBA
                                                 Scostati Enea.
 Sappi che il viver tuo d'Araspe è dono,
425che il tuo sangue vogl'io, che Iarba io sono.
 DIDONE
 Tu Iarba!
 ENEA
                     Il re de' Mori!
 DIDONE
 Un re sensi sì rei
 non chiude in seno, un mentitor tu sei.
 Si disarmi. (Alle guardie)
 IARBA
                         Nessuno (Snuda la spada)
430avvicinarsi ardisca o ch'io lo sveno.
 OSMIDA
 (Cedi per poco almeno
 finch'io genti raccolga, a me ti fida). (A Iarba)
 IARBA
 E così vil sarò?
 ENEA
                              Fermate amici,
 a me tocca punirlo.
 DIDONE
                                      Il tuo valore
435serba ad uopo miglior; che più s'aspetta!
 O si renda, o svenato a' piè mi cada.
 OSMIDA
 (Serbati alla vendetta). (A Iarba)
 IARBA
                                              Ecco la spada. (Getta la spada)
 
    Tu mi disarmi il fianco.
 Tu mi vorresti oppresso.
440Ma sono ancor l'istesso,
 ma non son vinto ancor.
 
    Soffro per or lo scorno.
 Ma forse questo è il giorno
 che domerò quell'alma,
445che punirò quel cor. (Parte)
 
 DIDONE
 Frenar l'alma orgogliosa
 tua cura sia. (Ad Osmida)
 OSMIDA
                           Su la mia fé riposa. (Parte con le guardie)
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE, ENEA
 
 DIDONE
 Enea, salvo già sei
 dalla crudel ferita,
450per me serban gli dei sì bella vita.
 ENEA
 Oh dio regina.
 DIDONE
                              Ancora
 forse della mia fede incerto stai?
 ENEA
 No; più funeste assai
 son le sventure mie. Vuole il destino.
 DIDONE
455Chiari i tuoi sensi esponi.
 ENEA
 Vuol (mi sento morir) ch'io t'abbandoni.
 DIDONE
 M'abbandoni! Perché?
 ENEA
                                            Di Giove il cenno,
 l'ombra del genitor, la patria, il cielo,
 la promessa, il dover, l'onor, la fama
460alle sponde d'Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
 purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
 DIDONE
 E così fin ad ora
 perfido mi celasti il tuo disegno?
 ENEA
465Fu pietà...
 DIDONE
                      Che pietà. Mendace il labro
 fedeltà mi giurava
 e intanto il cor pensava
 come lunge da me volgere il piede.
 A chi misera me darò più fede!
470Vil rifiuto dell'onde
 io l'accolgo dal lido, io lo ristoro
 dall'ingiurie del mar, le navi e l'armi
 già disperse io gli rendo e gli dò loco
 nel mio cor, nel mio regno, e questo è poco.
475Ricusando gli amori i sdegni irrito.
 Di cento re per lui
 Ecco poi la mercede.
 A chi misera me darò più fede!
 ENEA
 Finch'io viva, o Didone,
480dolce memoria al mio pensier sarai.
 Né partirei giammai,
 se per voler de' numi io non dovessi
 consagrare il mio affanno
 all'impero latino.
 DIDONE
485Veramente non hanno
 altra cura gli dei che il tuo destino.
 ENEA
 Io resterò, se vuoi
 che si renda spergiuro un infelice.
 DIDONE
 No, sarei debitrice
490dell'impero del mondo a' figli tuoi.
 Va' pur, siegui il tuo fato,
 cerca d'Italia il regno; all'onde, ai venti
 confida pur la speme tua. Ma senti;
 farà quell'onde istesse
495delle vendette mie ministre il cielo.
 E tardi allor pentito
 d'aver creduto all'elemento insano
 richiamerai la tua Didone invano.
 ENEA
 Se mi vedessi il core... (Arrestandola)
 DIDONE
500Lasciami traditore.
 ENEA
 Almen dal labro mio
 con volto meno irato
 prendi l'ultimo addio.
 DIDONE
                                           Lasciami ingrato.
 ENEA
 E pure a tanto sdegno
505non hai ragion di condannarmi.
 DIDONE
                                                            Indegno.
 
    Non ha ragione ingrato
 un core abbandonato
 da chi giurogli fé?
 
    Anime innamorate,
510se lo provaste mai
 ditelo voi per me.
 
    Perfido tu lo sai
 se in premio un tradimento
 io meritai da te.
 
515   E qual sarà tormento,
 anime innamorate,
 se questo mio non è! (Parte)
 
 SCENA XVIII
 
 ENEA
 
 ENEA
 E soffrirò che sia
 sì barbara mercede
520premio della tua fede anima mia?
 Tanto amor, tanti doni...
 Ah pria ch'io t'abbandoni,
 pera l'Italia, il mondo,
 resti in oblio profondo
525la mia fama sepolta,
 vada in cenere Troia un'altra volta.
 Ah che dissi! Alle mie
 amorose follie
 gran genitor perdona, io n'ho rossore,
530non fu Enea che parlò; lo disse amore.
 Si parta. E l'empio moro
 stringerà il mio tesoro?
 No... Ma sarà frattanto
 al proprio genitor spergiuro il figlio?
535Padre, amor, gelosia, numi consiglio.
 
    Se resto sul lido,
 se sciolgo le vele
 infido, crudele
 mi sento chiamar.
 
540   E intanto confuso
 nel dubbio funesto,
 non parto, non resto
 ma provo il martire
 che avrei nel partire,
545che avrei nel restar.
 
 Fine dell’atto primo